lunedì 25 maggio 2009

Sogno o son desto?

Complicato capire la differenza tra sogni e realtà in questo torrido mese di maggio che sembra agosto. Con la canicola che ci opprime, l'umidità che ci incolla al divano, e tanta, tanta voglia di lei, signora pennichella, dopo il classico pranzone domenicale...

Difficile capire se Morfeo si sia avvinghiato su di noi, stringendoci nel suo languido abbraccio o se invece quello a cui stiamo rivolgendo il nostro sguardo sia la realtà.

Impossibile capire se quelle immagini sia veramente sulla nostra retina e da lì, viaggiando sul nervo ottico, si sia insinuata tra le nostre sinapsi o se queste ultime abbiano fatto tilt deformando la realtà e mistificando i fatti.

Al limite del sovrumano mantenere gli occhi aperti a più che una fessura mentre in tv scorrono le immagini di venti soldatini che procedono in fila per sei col resto di due nello stretto budello d'asfalto che parte da Boulevard Albert Premier insinuandosi come un rettoscopio tra le strette vie del Principato.

Montecarlo è così, prendere o lasciare. Una gara dove può succedere di tutto ma anche non succedere niente di ché. Dove, una volta chiuso il discorso qualifiche, non rimane molto altro da vedere, se non aspettare e sperare che qualcuno si attacchi al guard rail. Molto più che ottimismo sperare che ieri si potesse assistere a qualcosa di diverso. Eppure, qualcosa di diverso si è visto. E' difficile parlarne, perché ho paura di essermi immaginato tutto. O forse no. Ditemelo voi.

Sognavo o ero desto, quando ho visto i signori di Maranello esultare per un terzo, dico, un terzo posto? Una volta non si esultava per la vittoria, palla al centro e via con un'altra corsa?

Già, dimenticavo, quest'anno va così. Ci sono quelle due signore lì, sempre nel loro perfetto abito bianco, che pure meritano, essendo verginelle. Sembrano (e forse sono) di un altro pianeta. Difficile pensare che possano perdere questo mondiale. Potete metterci un paracararro o uno zerbino qualunque su quelle discinte ma virtuose quattroruote e l'equazione non cambia: successo garantito. E per tutti gli altri, non rimane che festeggiare di essere arrivati primi tra gli ultimi.

Accontentiamoci, ordunque, delle bricioline, perché se guardiamo a quello che sta combinando il campione del mondo (che raccoglie per lo più figure di merda) non possiamo che sentirci non dico al settimo, ma almeno al quinto/sesto cielo. Per tacere della Troyota e della Biemmevu che non ne imbroccano più una che sia una e vederli in pista è quasi più triste che guardare "Incompreso".

Chiudo gli occhi e mi metto veramente a dormire. E nel sonno guardo avanti, guardo al gran premio che verrà. Anche se temo che passerò il weekend a bestemmiare e a fumare come un turco. Il che potrebbe anche essere appropriato, visto che per l'occasione il circus si trasferirà a Istanbul.

Stay tuned.

venerdì 22 maggio 2009

Letteratura dell'ottocento

Robert Louis Stevenson visse in un epoca in cui a malapena si vedevano i treni a vapore e il trasporto su ruota era prevalentemente quello delle carrozze trainate da qualche cavallo. La sua fantasia lo portò comunque a scrivere e descrivere avventure che rimasero nell'immaginario collettivo nonché base di quasi duecento lungometraggi. Alessandro Manzoni venne al mondo qualche anno prima, e, tra un mattone e una poesia, per lo più passava il tempo guardando i rami che volgevano a mezzogiorno.

Entrambi furono, in modo molto diverso, colonne portanti della produzione letteraria dell'800. E fin qui è tutto facile. Il difficile è spiegare come questi signori, a modo loro, abbiano a che fare con la Formula Uno dei giorni nostri.

I personaggi, i luoghi e l'intreccio delle trame, ad esempio, li ritroviamo tutti o quasi nel torbido mondo del circus.
Abbiamo il Dottor Mosleyill e Mister Hidlestone, con la loro schizofrenia.
Abbiamo una quantità enorme di azzeccagarbugli, che nonostante si parli di limitare le spese che le scuderie (ecco che tornano i cavalli di Stevenson), sicuramente non si accontentano di un paio di capponi. Il dilemma è se queste spese legali debbano essere o meno contabilizzate sulla gestione sportiva...
Abbiamo i due bravi, il Grisley e il Nibblestone, che fanno i prepotenti, ma vengono anticipati nel momento in cui devono dire che questa Formula uno non s'ha da fare.
Abbiamo una sfilza di Carneade lunga come l'elenco del telefono di Shanghai pronta a scendere in campo neanche si chiamassero Silvio. Manca solo la Premiata Officina Fratelli Marmitta, specializzata in carburatori e ci sono tutti. Tutti pronti a mettere in pista una vettura costruita con pochi soldi e senza limiti regolamentari.
Abbiamo Monza, con la sua pista e la Monaca che gira con e fa girare la borsetta nei pressi della parabolica. Non c'entra molto con il resto ma è ancora una gran bella patonza (a dispetto dei suoi quasi trecento anni).

In un put-purrì letterario, tutti questi ed altri personaggi si mischiano a salpano alla ricerca dell'Isola del Tesoro, pronti a vestire i panni di Long John Silver e a cercare di portare a casa il bottino. Quale sia questo bottino ancora non è dato sapere. Ma c'è una mappa, e ragazzi con le mappe del tesoro c'è poco da scherzare.

Quello che posso dire con una certa sicurezza è che sta diventando sempre più maledettamente difficile scrivere qualcosa che abbia un senso sulla Formula Uno. Per dirla tutta, ci sono ancora sette giorni (salvo proroghe) per capire se esisterà ancora una Formula Uno come più o meno siamo abituati a conoscere. Nel bene o nel male. Mosley a parte, credo siano pochi al mondo quelli che possano ritenere possibile una Formula Uno senza la Ferrari (ma anche senza altri costruttori importanti).

Per il momento, evitato qualunque commento sulla gara di Barcellona (che per varie ragioni ho dovuto guardare in differita e non è la stessa cosa), ci concentriamo sul gran premio di Montecarlo. Dove può succedere di tutto. Ma anche non succedere nulla.

Stay tuned